Per riflettere ...
12-02-2015 -
"Il compito di un bambino, supportato dalla cooperazione di genitori attenti e responsabili, è sviluppare l´abitudine a non darsi per vinto di fronte a sfide e ostacoli" Martin Seligman
Dopo la riunione con lo psicologo Andrea Simonetti, ho ripreso in mano un bel libro del prof. Pietro Trabucchi che ho avuto la fortuna di conoscere durante i miei corsi all´Università di Scienze Motorie. Pietro Trabucchi è uno psicologo che si occupa da sempre di prestazione sportiva ed in particolare di discipline di resistenza. Nel suo libro "Resisto dunque sono" parla di "resilienza psicologica" ovvero la capacità di persistere nel perseguire obiettivi difficili, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà che ci si presentano. La cosa positiva è che la "resilienza" può essere allenata. Come?? Anche attraverso lo sport!
Il capitolo otto di questo libro si intitola "Utilizzare lo sport per costruire la resilienza nei bambini" ed inizia proprio con la frase di Martin Seligman scritta sopra. Nel capitolo l´autore elenca sei principi importanti che genitori e tecnici dovrebbero seguire per generare resilienza nel bambino tramite lo sport.
In questo articolo ci soffermeremo sul primo:
"NON DERUBATE LA MOTIVAZIONE DEL BAMBINO!"
Uno degli obiettivi dello sport giovanile è quello di sviluppare l´interesse per lo sport nel bambino, la cosa importante è che bisogna farlo senza sovrapporre la motivazione propria a quella del bambino. In questo caso infatti avremmo "spinto" il piccolo.
A questo proposito l´autore scrive: "... chi "spinge" i figli cerca di soddisfare i propri bisogni, non quelli della prole. Sono i genitori (o i tecnici) che vorrebbero compensare le proprie frustrazioni o le proprie aspirazioni insoddisfatte per mezzo delle vittorie del fanciullo ...". Tutto questo non permette al bambino di sviluppare una motivazione propria ed indipendente: il "voglio farcela per me e perché mi piace", che è anche l´unica garanzia per continuare la carriera sportiva in modo piacevole e soddisfacente.
Non è un caso che le statistiche riportino un calo vertiginoso ed improvviso della partecipazione sportiva nell´età preadolescenziale e dell´adolescenza quando, l´autore scrive, "si ha la forza di dire di no alle imposizioni altrui, e in cui, contemporaneamente, si prendono anche le prime legnate in campo sportivo, facendosi più serio il confronto. Come dire: "finchè vincevo facile, potevo ancora andare avanti a fare quello che volevi tu. Ma ora dover prendermi sberle solo per farti contento ... vacci tu!!".
Un bambino che fa qualcosa perché gli piace veramente, perché ha passione, difficilmente si demotiverà di fronte alle prime difficoltà. Il nostro compito quindi non è quello di "spingerlo" ma di "insegnargli a mandarsi avanti da solo". Statisticamente i campioni con alle spalle il genitore che li ha "spinti" rappresentano una piccola eccezione rispetto al numero dei potenziali campioni bruciati dai genitori troppo "presenti". [in merito a questo, consiglio la lettura di "Open" di Andre Agassi] Tuttavia scrive Trabucchi "... il genitore "appagato" non è quello assente o che si disinteressa ... il genitore equilibrato c´è: partecipa emotivamente, ma poi lascia liberi i figli di scegliere quello che piace loro" e poi ancora "conosco parecchi amatori di quelli coinvolti, convinti, "tosti": ebbene, se hanno figli, la tentazione di pilotare le loro scelte, di condividere il proprio bagaglio di esperienze e di consigli, rischia di essere forte. Però i figli hanno bisogno di fare le proprie esperienze, perfino di sbagliare, anche quando i genitori saprebbero sicuramente meglio di loro come fare."
Su quest´ultima frase credo ci sia molto da riflettere, non solo come genitori ma anche come tecnici ... pensando al fatto che, nel rispetto delle capacità psicologiche del bambino, uno dei nostri obiettivi è quello di creare "giocatori pensanti" e per farlo i bambini devono avere la possibilità di provare e provarsi liberamente in base alla loro fantasia, alle loro intuizioni, senza schemi rigidi, senza qualcuno che in ogni istante gli "urli dietro" quello che deve fare o non fare ... senza qualcuno che gli tolga la voglia e il piacere di giocare ...
Nel prossimo articolo affronteremo insieme il secondo principio "Spronatelo a mettere il massimo impegno, non a vincere" ... a presto!
Sara Franchi
Allenatrice 2009 Caldiero - 2007/08/09 Caldiero sez. Mezzane
Dopo la riunione con lo psicologo Andrea Simonetti, ho ripreso in mano un bel libro del prof. Pietro Trabucchi che ho avuto la fortuna di conoscere durante i miei corsi all´Università di Scienze Motorie. Pietro Trabucchi è uno psicologo che si occupa da sempre di prestazione sportiva ed in particolare di discipline di resistenza. Nel suo libro "Resisto dunque sono" parla di "resilienza psicologica" ovvero la capacità di persistere nel perseguire obiettivi difficili, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà che ci si presentano. La cosa positiva è che la "resilienza" può essere allenata. Come?? Anche attraverso lo sport!
Il capitolo otto di questo libro si intitola "Utilizzare lo sport per costruire la resilienza nei bambini" ed inizia proprio con la frase di Martin Seligman scritta sopra. Nel capitolo l´autore elenca sei principi importanti che genitori e tecnici dovrebbero seguire per generare resilienza nel bambino tramite lo sport.
In questo articolo ci soffermeremo sul primo:
"NON DERUBATE LA MOTIVAZIONE DEL BAMBINO!"
Uno degli obiettivi dello sport giovanile è quello di sviluppare l´interesse per lo sport nel bambino, la cosa importante è che bisogna farlo senza sovrapporre la motivazione propria a quella del bambino. In questo caso infatti avremmo "spinto" il piccolo.
A questo proposito l´autore scrive: "... chi "spinge" i figli cerca di soddisfare i propri bisogni, non quelli della prole. Sono i genitori (o i tecnici) che vorrebbero compensare le proprie frustrazioni o le proprie aspirazioni insoddisfatte per mezzo delle vittorie del fanciullo ...". Tutto questo non permette al bambino di sviluppare una motivazione propria ed indipendente: il "voglio farcela per me e perché mi piace", che è anche l´unica garanzia per continuare la carriera sportiva in modo piacevole e soddisfacente.
Non è un caso che le statistiche riportino un calo vertiginoso ed improvviso della partecipazione sportiva nell´età preadolescenziale e dell´adolescenza quando, l´autore scrive, "si ha la forza di dire di no alle imposizioni altrui, e in cui, contemporaneamente, si prendono anche le prime legnate in campo sportivo, facendosi più serio il confronto. Come dire: "finchè vincevo facile, potevo ancora andare avanti a fare quello che volevi tu. Ma ora dover prendermi sberle solo per farti contento ... vacci tu!!".
Un bambino che fa qualcosa perché gli piace veramente, perché ha passione, difficilmente si demotiverà di fronte alle prime difficoltà. Il nostro compito quindi non è quello di "spingerlo" ma di "insegnargli a mandarsi avanti da solo". Statisticamente i campioni con alle spalle il genitore che li ha "spinti" rappresentano una piccola eccezione rispetto al numero dei potenziali campioni bruciati dai genitori troppo "presenti". [in merito a questo, consiglio la lettura di "Open" di Andre Agassi] Tuttavia scrive Trabucchi "... il genitore "appagato" non è quello assente o che si disinteressa ... il genitore equilibrato c´è: partecipa emotivamente, ma poi lascia liberi i figli di scegliere quello che piace loro" e poi ancora "conosco parecchi amatori di quelli coinvolti, convinti, "tosti": ebbene, se hanno figli, la tentazione di pilotare le loro scelte, di condividere il proprio bagaglio di esperienze e di consigli, rischia di essere forte. Però i figli hanno bisogno di fare le proprie esperienze, perfino di sbagliare, anche quando i genitori saprebbero sicuramente meglio di loro come fare."
Su quest´ultima frase credo ci sia molto da riflettere, non solo come genitori ma anche come tecnici ... pensando al fatto che, nel rispetto delle capacità psicologiche del bambino, uno dei nostri obiettivi è quello di creare "giocatori pensanti" e per farlo i bambini devono avere la possibilità di provare e provarsi liberamente in base alla loro fantasia, alle loro intuizioni, senza schemi rigidi, senza qualcuno che in ogni istante gli "urli dietro" quello che deve fare o non fare ... senza qualcuno che gli tolga la voglia e il piacere di giocare ...
Nel prossimo articolo affronteremo insieme il secondo principio "Spronatelo a mettere il massimo impegno, non a vincere" ... a presto!
Sara Franchi
Allenatrice 2009 Caldiero - 2007/08/09 Caldiero sez. Mezzane